“Il Milan è stata la mia casa, il calcio la mia vita”: Pieve di Soligo accoglie Franco Baresi, leggenda del calcio italiano
Al Teatro Careni un incontro emozionante con il grande capitano rossonero: tra ricordi, valori e un calcio che non c’è più

PIEVE DI SOLIGO - Certe serate restano impresse nella memoria collettiva, e quella di ieri a Pieve di Soligo è una di queste. In un Teatro Careni gremito in ogni ordine di posto, la città ha accolto con un lungo applauso Franco Baresi, uno dei nomi più iconici del calcio italiano e internazionale, ospite della rassegna Pieve incontra, ideata e condotta dalla giornalista Adriana Rasera.
Classe, eleganza e determinazione: parole che raccontano un’intera carriera. Ma lunedì sera è stato l’uomo dietro al campione a emozionare. Un viaggio intimo attraverso una vita spesa per il calcio e per il Milan, “una seconda casa, una seconda famiglia”, come l’ha definita lui stesso. Sul palco, con semplicità disarmante e voce ferma, ha ripercorso i suoi inizi, l’esordio a 17 anni in Serie A, gli 81 incontri in Nazionale, il titolo mondiale del 1982, il Pallone d’Oro sfiorato nel 1989. “Non avrei mai pensato di diventare ciò che sono diventato”, ha affermato, con quella gratitudine che solo i grandi davvero sanno portare con orgoglio.
Accolto con calore dal sindaco Stefano Soldan, Baresi ha parlato di sport ma anche di valori, di crescita personale, di leadership. “Essere leader non significa alzare la voce, ma dare l’esempio con il comportamento”, ha detto, ricordando i suoi anni da capitano del Milan, fascia al braccio fin dai 22 anni. Ha ricordato Rivera, Berlusconi, gli allenatori che “non si arrabbiavano con me perché sapevano che davo tutto”. E ha celebrato il senso del gruppo, la coesione, l’identità. “Per dieci anni abbiamo giocato con un nucleo di italiani unito e forte. Poi arrivavano i giocatori stranieri e capivano la filosofia Milan. E si adattavano”.
Non sono mancati i momenti commoventi: il ricordo dell’ultimo saluto in campo con la maglia numero 6 ritirata, il pallone d’oro simbolico ricevuto da Berlusconi, l’affetto che ancora oggi riceve dai tifosi dopo più di trent’anni dal ritiro. “La cosa più bella è che le persone si ricordano di te con affetto. Questo dà senso alla mia vita”. A Pieve si è visto un Baresi lucido, sincero, capace di leggere il presente con lo sguardo di chi ha vissuto un’epoca diversa. “Il calcio oggi è più fisico e commerciale, ma ha perso un po’ di passione. I valori, però, restano. Quelli veri: gli amici, la famiglia, le persone che ti hanno accompagnato nel viaggio”.
Tra i momenti più toccanti, il ricordo del fratello Giuseppe, simbolo dell’Inter, e i duelli con Maradona: “A volte non riuscivo a dormire prima di affrontarlo”. Ma anche gli incontri con i tre papi, la maglia azzurra della Nazionale, le finali europee, gli stadi colmi di speranze. Franco Baresi non ha parlato solo di sé. Si è rivolto ai giovani presenti in sala, alle nuove generazioni che guardano al calcio come sogno e vocazione: “Non arrendetevi mai. Ogni porta chiusa può diventare un’occasione. Serve entusiasmo, ma anche chi sa coltivarlo con voi”.
Alla fine, un lunghissimo applauso. Di quelli veri. Di quelli che non servono a celebrare un trofeo, ma una carriera fatta di silenzi, sudore, scelte difficili e fedeltà incrollabile a una maglia e a un ideale. Pieve di Soligo ha incontrato una leggenda. Ma ha salutato, soprattutto, un uomo che ha vissuto il calcio come una scuola di vita. E che continua, con garbo e lucidità, a insegnare cosa voglia dire essere un campione.
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