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24 aprile 2024

Castelfranco

«IN AFRICA PER METTERMI ALLA PROVA»

Dall’Ospedale di Castelfranco al Kenya per curare chi fa i conti con la povertà e la guerra civile

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CASTELFRANCO - Il dottor Giuseppe Pesce, responsabile di chirurgia di urgenza dell’Ospedale di Castelfranco ora in pensione, da dieci anni visita periodicamente un ospedale del nord del Kenya.

Arriva a Wamba, nel Samburu Distrit, dove si trova il WAMBA CATHOLIC OSPEDAL, gestito dal vescovo della diocesi di Maralal con la collaborazione di suore e sacerdoti della Consolata Father di Torino.

Dottore, dove si trova esattamente questo ospedale?

L'ospedale dista 400km da Nairobi capitale del Kenia. Si può raggiungere in due maniere: via terra, con veicoli adatti, perché 200 km dei 400 sono di strada sterrata, o per via aerea con voli interni. L'ospedale è dotato di pista di atterraggio per piccoli apparecchi, perché quando si tratta di emergenze le distanze sono molto lunghe. Le lesioni più frequenti che curiamo sono di arma da fuoco: è zona di guerre civile. Molti sono nomadi e vivono di pastorizia, allevando mucche, cammelli, capre: sono tutti armati. Il posto confina con paesi in guerra come la Somalia est, Sudan ed Etiopia al nord, Uganda ovest, si tratta di paesi belligeranti.

Cosa la spinge a seguirlo?

Lo faccio per solidarietà e anche per un arricchimento professionale, per mettere alla prova le mie capacità, per un senso d'amicizia rispetto a quel popolo. Io sono in pensione, quindi meno vincolato. Mi hanno proposto di dirigere l'ospedale a tempo pieno, ma per ora lo faccio a periodi, dato che è molto impegnativo. La gente lì muore di peritonite, infezioni, di cose banali per noi. Con questo si riscopre la gioia di lavorare, dell’importanza del nostro lavoro. Là si fa il vero lavoro del medico, invece da noi c’è un consumo di sanità eccesivo. A volte qui si lavora tanto da indurre una patologia sanitaria per eccesso di prestazione, là invece solo per necessità.

Come si compone lo staff che parte da Castelfranco?

Da Castelfranco parte l'assistenza ospedaliera tramite la fondazione che porta il nome di un giovane collega recentemente scomparso, il dr. Lorenzo Sposito, un anestesista che è andato in Kenya nel 2008 per aggiornare l'equipe anestesiologica. Danno una mano chirurghi, urologi, oculisti, dentisti, ortopedici, e in futuro anche dei pediatri. Questo gruppo di specialisti ci si reca volontariamente, spendendo le proprie ferie. Rientrano nel gruppo di solidarietà che l'ospedale di Wanba riconosce col nome "Amici di Wamba". Si eseguono al'incirca mille interventi di chirurgia maggiore all’anno, 600 parti naturali all'anno, 200 di questi con taglio cesareo.

Quanti medici gestiscono la struttura?

Attualmente conta quattro medici fissi. È stato fondato e costruito dal dottor Silvio Prandoni di Castellanza (Varese), che ha lavorato per quarant’anni lì. Oggi la direttrice sanitaria che lo sostituisce è una dottoressa peruviana con tre medici africani, un ginecologo, un pediatra e un chirurgo. Il prossimo luglio parto per Wamba per sollevare almeno per un mese i medici africani.

Quali sono i reparti e i servizi?

C’è un servizio di radiologia diagnostica tradizionale, anche se non c’è la tac, ma l'ecografo. Poi ci sono un laboratorio per diagnosticare le malattie più frequenti, come la malaria, infestazioni addominali, Tbc, Aids, Tifo, Epatite (si eseguono endoscopie digestive con esofago-gastro-colon e broncoscopia) ed i reparti degenza, con medico chirurgo generale, terapia intensiva, pediatria, reparto isolamento malattie infettive. Tutto questo disposto in un capannone di 400 metri quadrati.

Quante persone ci lavorano?

L'attività è garantita dal lavoro di 200 persone tra infermiere e personale di pulizia, e articolata con medici, infermieri, ingegneri, tecnici idraulici, muratori, elettricisti, meccanici.

Come’è sostenuto economicamente?

Da mutue che riguardano i dipendenti pubblici, dalla diocesi di Maralal e da benefattori italiani. Il bilancio annuo della gestione si aggira sui 2 milioni di euro. Accanto l'ospedale c’e una scuola di formazione infermieristica dello stato del Kenya, gestita dalle sorelle della Consolata. C’è pure un centro di per i disabili unico nel paese, dove si curano gravi lesioni cerebrali congenite o acquisite, come idrocefalia, paraparesi, tetraplesie, esiti invalidanti di poliomelite e cerebropatie di varia natura; è gestito da suore indiane appartenenti a un ordine religioso che si dedica alla cura di queste patologie. A completamento dell’attività sanitaria è presente una farmacia che serve per la confezione della fleboclisi, pomate, antibiotici di prima necessità ed altri prodotti di banco come aspirina, antinfiammatori etc.

Come e il clima di questa regione?

Le piogge sono scarse e l'acqua viene ricavata da perforazioni di circa 200 metri; i bambini, quando viene fuori l'acqua per la prima volta, festeggiano con le loro danze. Le giornate sono di 12 ore fisse di sole e di buio, dalle 6.30 alle 18.30, perché passa la linea dell'equatore.

Come sono la loro abitudini alimentari?

 L’alimentazione del popolo e basata su farinacei e legumi, sono abituati a bere il sangue degli animali che la mescolano con la polenta facendo una specie di torta. Mangiano tanto nelle ricorrenze festive, come matrimoni, ma anche in occasione circoncisione, il passaggio da bambino ad adolescente. Viene fatta tra i 12 e gli 18 anni, eseguendo quanto imposto dal capo della tribù, e con un padrino. Si pratica anche la clitoridectomia del organo femminile.

Anna Maria Simioni

 


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