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29 marzo 2024

Venezia: Caffi o cafoni?

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Luca Barbirati | commenti |

[Mi onoro di ospitare un nuovo articolo di Paolo Steffan, instancabile flaneur veneziano...]

Venezia, 27 luglio 2016. Sono le quattro del pomeriggio e mi trovo sotto la loggia del museo Correr, in piazza San Marco, dov’è in corso una mostra di Ippolito Caffi (Belluno, 1809 - Lissa, 1866), grandissimo paesaggista dell’Ottocento, che ha ritratto dal vivo i grandi luoghi ed eventi del secolo. Sto lavorando da mesi alla cura di un libro di cui Caffi è uno dei protagonisti, forse il più illustre: ritratto dalla penna di un ispirato Sebastiano Barozzi (San Fior, 1804 - Belluno, 1884) mentre racconta i moti risorgimentali in corso a Venezia ai suoi amici bellunesi, poi nella tragica sua morte in mare, a bordo della nave su cui aveva deciso di imbarcarsi per dipingere dal vivo la battaglia di Lissa. La mostra di Caffi è un grande evento, pensato per i 150 anni della morte del pittore, che fatalmente sono anche i 150 dall’annessione del Veneto al regno d’Italia: è un grande evento anche per me che, da studioso di un aspetto minimo ma straordinario della vita culturale di quell’epoca, avevo organizzato da giorni la trasferta veneziana, pieno di entusiasmo e con il budget previsto: il viaggio d’andata in treno da Conegliano, mia stazione di partenza, a Venezia Santa Lucia è di euro 5, 45 + euro 5, 45 del ritorno = euro 10, 90. L’ingresso alla mostra ha un costo di euro 10; in totale un costo di euro 20, 90. Quanto a tempo, un’ora per lo spostamento su rotaia, mezzora poi a piedi per raggiungere la piazza veneziana: un totale di tre ore nette solo di spostamenti.

Ma, arrivato sotto la loggia del Correr, dov’è l’ingresso monumentale del museo, un uomo in divisa controlla che nessuno varchi i cancelli; a parlare è un cartello: “Oggi il museo chiude alle ore 16 per assemblea”. Nel 2016, uno dei più celebri musei italiani si dota di un cartello in loco per avvisare l’utenza che quel giorno il museo avrebbe chiuso alle 16, esattamente l’orario per cui avevo previsto il mio arrivo a San Marco. Voi direte: sfiga! Sì. Se non contiamo, però, che un’ora e mezza prima avevo consultato il sito ufficiale del museo, prima di partire, proprio per sincerarmi che tutto fosse regolare, e nella home non vi era alcun avviso, la pagina degli orari riportava: apertura ore 10-19, ultimo ingresso ore 18. Non essendo la prima volta che il sistema museale veneziano mi crea disagi (non sto a raccontare l’incompetenza di certi addetti all’accoglienza di Palazzo Ducale, sempre nella stessa piazza, durante la mostra di Rousseau), cerco compulsivamente il numero di telefono del Correr con lo smartphone. Chiamo. Mi risponde una voce femminile, parto: “La contatto per un reclamo, sono all’ingresso del vostro museo, ho fatto due ore di spostamenti con relativi costi per raggiungerlo, è inaccettabile che non usiate il sito per comunicare una chiusura, è da paese di provincia e non da città internazionale bla bla bla”. Sarei potuto andare avanti all’infinito: la gentile signora ‒ (me la immagino) di quelle in giacca blu, che danno dei campagnoli a tutti coloro che vengono dall’entroterra ‒ mi aveva chiuso il telefono in faccia! Ora, pensavo di essermi preso una giornata per andare a vedere la mostra di Caffi, e invece debbo concludere che è stata una giornata che mi ha confermato quanto cafoni possano essere coloro che rappresentano la cultura a Venezia, mancando di rispetto schifosamente ai conterranei, facendo figure da peracottari con la gente che viene da tutto il mondo, a suon di migliaia di euro, per godere di servizi e non della maleducazione e inefficienza di una città vergognosa, incapace anche di usare semplicemente internet per comunicare un disguido. Non andrò più a quella mostra: a malincuore, perché oltre alla grandezza del Caffi e al detto interesse di studio e lavoro, sono pittore anche io, e il rapporto diretto con l’opera è fondamentale nel mio approccio con l’altrui arte. Ma questa, con Venezia, diventa sempre più una questione di principio, e di cafoneria. L’unica condizione affinché possa rivalutare di visitare “Ippolito Caffi tra Venezia e l’Oriente 1809-1866” è che la dirigenza del Correr, a titolo esemplare di scuse, mi offrisse il rimborso dei biglietti del treno, che ho conservato, e un ingresso gratuito. Ma so già che questa è fantascienza, in una Venezia che più che di Caffi è di cafoni.

Paolo Steffan



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