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29 marzo 2024

Treviso

"Presepi e crocifissi non possono dar luogo ad alcun trionfalismo religioso"

Il messaggio del vescovo Gianfranco Gardin ai fedeli per il Natale

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TREVISO - “Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Treviso, desidero, in prossimità del Santo Natale, far giungere a tutti voi il mio augurio più cordiale, accompagnato da qualche semplice riflessione”. Inizia così il messaggio che il Vescovo monsignor Gianfranco Gardin ha rivolto a tutti i fedeli della diocesi di Treviso per questo Natale.

Il Natale di quest’anno porta, per così dire, l’impronta della misericordia. Molti di noi hanno ancora negli occhi il momento suggestivo e assai partecipato dell’apertura della Porta Santa nella nostra cattedrale, vissuto domenica 13 dicembre. Siamo così entrati in un tempo nel quale riconoscere con particolare attenzione la misericordia che Dio ci dona, per farci poi a nostra volta misericordiosi: “misericordiosi come il Padre”, secondo il motto dell’anno giubilare.

Il Natale è un grande annuncio di misericordia: «È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini», scrive Paolo nella lettera a Tito. La misericordia è resa evidente dalla maniera stessa con cui il Figlio di Dio viene tra noi: non nasce in un palazzo ma in una stalla. Pensiamo anche ad un altro particolare. I primi a sapere della nascita di Gesù sono i pastori. I pastori erano categoria socialmente e religiosamente disprezzata: nomadi privi di diritti civili e considerati ritualmente impuri. Gesù, deposto in una mangiatoia di animali, riceve dunque il primo, forse inconsapevole, “omaggio” da gente povera e malvista. Questo è il misero inizio della sua vita; se andiamo poi all’altro capo della sua vicenda terrena, lo vediamo morire sul patibolo dei criminali, crocifisso tra due malfattori.

Presepi e crocifissi non possono dar luogo ad alcun trionfalismo religioso, a nessuna altezzosità cristiana; e se richiamano una “identità”, identificano il vero cristiano come un discepolo di colui che – come ci ricorda Paolo – «pur essendo nella condizione di Dio svuotò se stesso assumendo una condizione di servo». Il Figlio di quel Dio che nell’Antico Testamento viene definito per circa 270 volte “il Signore degli eserciti”, venendo tra noi si presenta nella condizione degli ultimi del mondo. Permettetemi di ricordare l’esperienza di Francesco d’Assisi. Egli provava una commozione indicibile davanti al racconto della nascita di Gesù; tanto che nel Natale del 1223, presso l’eremo di Greccio, volle realizzare una rappresentazione plastica del Natale: per questo egli è considerato l’ideatore del presepe. Ma la rappresentazione del Natale (il presepe) non aveva per Francesco un carattere idilliaco o vagamente sentimentale: egli voleva far sì che tutti potessero provare la sua sorpresa e il suo stupore di fronte all’umiltà del Figlio di Dio.

So bene che è difficile raggiungere la fede e l’appassionato amore per Cristo del santo di Assisi; non voglio, nello stesso tempo, dimenticare che il Natale continua a suscitare atteggiamenti di bontà e di solidarietà in tante persone; ma è anche vero che il vedere tante deformazioni del Natale che lo spogliano della sua “verità” evangelica ci rende un po’ tristi. Il presepe non è semplicemente un ornamento “tradizionale”, non ci serve per prendere le distanze dagli altri, ma ci fa scorgere nel Gesù della Natività colui che si presenta fin dall’inizio l’uomo “per gli altri”, il quale non trattiene nulla per sé. Venendo tra noi, e nascendo tra gli ultimi e gli emarginati, come erano quei poveri pastori, ci fa capire che egli non esita fare suoi i nostri limiti, le nostre sofferenze, le nostre angosce e le nostre aspirazioni. È stato scritto che «Dio entra nel mondo dal punto più basso, perché nessuna creatura sia più in basso, nessuno non raggiunto dal suo abbraccio che salva» (E. Ronchi).

Non dissipiamo l’immensità dell’amore espresso nella piccolezza del Dio dell’incarnazione. Ricordandoci che solo facendoci ”piccoli” come Lui, siamo in grado di accostare umilmente quanti hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro anche silenzioso voler bene, del nostro saper «portare i pesi gli uni degli altri», del nostro percepire la presenza di chi sta alla nostra porta e «aspetta, e magari non ha il coraggio, forse neppure la forza di bussare» (papa Francesco).

A tutti voi auguro che questo sia davvero un Natale di misericordia: accolta e donata. Accolta con stupore e gratitudine, donata con semplicità, amabilità, tenerezza.

Auguri di cuore, vivissimi e fraterni”.

 


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