PER LA CHIESA TREVIGIANA RAVASIN E' UN SUICIDA
Il fratello del vescovo critica aspramente il testamento biologico dell'uomo costretto a letto per una malattia degenerativa
Treviso - Per la chiesa trevigiana Paolo Ravasin «è un suicida». Continua a far discutere il testamento biologico dell’uomo malato da sclerosi multipla.
Sul caso interviene anche il preside dello Studio teologico del Seminario diocesano di Treviso, e fratello del vescovo Andrea Bruno, Giuseppe Mazzocato.Dalle pagine del settimanale diocesano «La Vita del popolo» condanna duramente la decisione dell’uomo che, immobilizzato su un letto d’ospedale, ha registrato in un video il proprio testamento biologico.
Ravasin ha ribadito, lo aveva già detto pubblicamente lo scorso marzo, di non voler essere alimentato e idratato artificialmente nel momento in cui non fosse in grado di farlo per via naturale. Già il titolo dell'editoriale di Mazzocato la dice tutta: «La resa di fronte alla vita». Il sacerdote affonda: «Ci troviamo di fronte ad un suicida che chiede aiuto per porre in atto il suo piano. Il commiato è spesso un atto di accusa verso chi non ha saputo aiutarlo. Aiutarlo a far che cosa? Non a morire, ma a vivere. Il suicida recrimina l’omissione di aiuto a vivere; qui, invece, si chiede l’aiuto a morire».
Mazzocato continua: «Oggi ci ritroviamo spesso ad invidiare la morte repentina tanto più la desideriamo di fronte ad un malato terminale o un malato di Sla: non mangia più, non respira più, non parla, non cammina ed il suo corpo è divenuto una sorta di scafandro, che lo isola dalla vita. Sarebbe meglio per lui morire? Molti oggi trovano molto convincente la risposta affermativa a tali domande e alcuni addirittura pensano, a tal proposito, ad una sorta di battaglia per i diritti civili e vedono con fastidio chi ci si oppone. Procurare la morte è da costoro presentato come il più alto gesto di carità, analogamente a quello con cui si restituisce la libertà ad un prigioniero, spezzandone i ceppi. Ecco la necessità di riflettere, visto che si tratta di una vita umana e della nostra stessa umanità, alla quale non appartiene né l’omicidio, né il suicidio».
Sono parole che faranno certamente discutere. Sono infatti molte le persone che concordano con Ravasin, con il fatto, cioè, che ciascuno è libero di vivere e di morire come meglio crede, per non continuare a soffrire inutilmente, ma soprattutto per una morte dignitosa.