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25 aprile 2024

Oderzo Motta

Muore a 44 anni in azienda, chiesto il processo per il responsabile della sicurezza

L’ennesima tragedia sul lavoro è successa il 27 agosto 2018: l’operaio aveva solo 44 anni e ha lasciato moglie e tre figli.

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Shpejtim Gashi

SALGAREDA - Troppo facile “neutralizzazione” dei dispositivi di sicurezza per accedere alle zone pericolose della fabbrica, senza altre misure di protezione; attrezzature di lavoro non aggiornate agli standard minimi di sicurezza, in particolare sui sistemi di “interblocco”.

Sono queste le violazioni che, secondo la Procura di Treviso, il 27 agosto del 2018 hanno determinato l’ennesima morte bianca, quella di Shpejtim Gashi, alla “3B” di Salgareda, grossa realtà industriale trevigiana che produce pannelli in legno per l’arredamento e che conta oltre 500 dipendenti.

A conclusione delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero titolare del procedimento penale per omicidio colposo, la dott.ssa Francesca Torri, ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ingegner A. P., 50 anni di San Donà di Piave, in qualità di delegato in materia di salute e sicurezza dal datore di lavoro, iscritto fin da subito nel registro degli indagati, e il Gip, dott. Gianluigi Zulian, ha fissato l’udienza preliminare in camera di consiglio per il 3 ottobre 2019, alle 9, in Tribunale a Treviso.

I familiari della vittima, che ha lasciato nel dolore e nella disperazione la moglie, tre figli minori, tre sorelle e un fratello, che peraltro lavora nella stessa fabbrica e che lo ha visto morire sotto i suoi occhi, si aspettano verità e giustizia: per essere seguiti e assistiti, si sono affidati all’avv. Andrea Piccoli, del Foro di Treviso, e, attraverso il consulente personale Diego Tiso, a Studio 3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nelle tutela dei diritti dei cittadini.

La tragedia sul lavoro - la tredicesima dell’anno in provincia - all’epoca ha scosso tutta la Marca, anche perché Gashi, originario del Kosovo ma in Italia da 25 anni, dov’era ben inserito, non era un lavoratore inesperto, tutt’altro: era un operaio specializzato con la qualifica di capo-macchina ed era impiegato da quasi un ventennio alla 3B. E infatti, per rivolvere un’anomalia in una delle linee di imballaggio dei pannelli, che era andata in blocco, è toccato a lui intervenire: è entrato all’interno dell’area pericolosa, ma qualcosa non ha funzionato e l’operaio è rimasto schiacciato con il capo tra la pinza di prelievo posta all’estremità del braccio del robot Kuka 1 e la rulliera di alimentazione dei fogli di cartone, riportando lo sfondamento della scatola cranica.

Una fine evitabile secondo il Sostituto procuratore la quale, sulla scorta del rapporto conclusivo dello Spisal dell’Asl 2, dei rilievi degli uomini del Comando Provinciale dei Carabinieri di Treviso, delle specifiche tecniche dal robot incriminato, delle varie testimonianze raccolte e quant’altro, ha chiesto il processo per A. P., per aver cagionato il decesso del lavoratore “per colpa consistita in negligenza, imperizia, imprudenza e, specificamente, nell’inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sl lavoro”.

In particolare, si imputa al responsabile per la sicurezza della fabbrica di “aver consentito che l’accesso dei lavoratori nelle zone pericolose avvenisse mandante la neutralizzazione dei dispositivi di sicurezza attraverso l’utilizzo di un attuatore inserito al posto dell’attuatore presente sul cancello di accesso all’area pericolosa della linea “imballo 2”, e in assenza di altre misure di prevenzione e protezione”.

Inoltre di “aver omesso di adottare tutte le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza previsti dalla direttiva macchine 98/37/CE, con particolare riferimento al posizionamento del dispositivo di interblocco dei cancelli di accesso alle zone pericolose che avrebbe dovuto essere montato in posizione non raggiungibile o nascosta al fine di eviTare la facile neutralizzazione mediante attuatore”.

Il Pubblico Ministero, nella sua richiesta di rinvio a giudizio, ha contestato anche un illecito amministrativo nei confronti della società 3B s.p.a. legalmente rappresentata da L. B. e G. B., perché il delegato (per la sicurezza) del datore di lavoro “commetteva nell’interessa dell’ente o comunque a suo vantaggio il reato di cui sopra”, riconoscendo dunque anche la piena responsabilità dell’azienda.
 

 



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