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20 aprile 2024

Treviso

Moro a cento anni dalla nascita

Le valutazioni di Mattarella, Martinazzoli e Castagnetti

| Pietro Panzarino - Vicedirettore |

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Moro a cento anni dalla nascita

TREVISO - E' cominciato con il 23 settembre il centenario della nascita di Aldo Moro. L a sua intelligenza, da subito e per sempre, lo ha reso protagonista, da vivo e da morto.

 

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con un intervento pubblico dal Quirinale ha posto il sigillo più autorevole sul piano storico e politico del leader.

Questi alcuni dei passaggi più significativi:

"Gli stava a cuore che le scelte annunciate trovassero effettiva attuazione e, quindi, nel tempo e con le modalità che consentissero di realizzarle davvero, con la maturazione necessaria per consolidare il consenso intorno ad esse. Rifuggiva, proprio per questa ragione, da annunci fine a se stessi, da gesti plateali che avrebbero sfiorato la realtà, senza riuscire a incidervi”.

Protagonista in Europa, in grado di influenzarne le scelte, invece di criticarle come per tirarsene fuori.

Fu l’uomo del “dialogo permanente e rispettoso fra le forze politiche per rendere le istituzioni democratiche permeabili alle istanze della società civile”.

"Fu l’uomo che negli anni della “strategia della tensione”, puntò invece alla “strategia dell’attenzione, verso i nuovi fenomeni sociali e i nuovi processi politici”.

 

Nella seconda metà degli anni '80, Ciriaco De Mita, presidente del Consiglio e Segretario della DC, di fatto aveva scelto due suoi "proconsoli": Sergio Mattarella in Sicilia e Pierluigi Castagnetti in Emilia Romagna, ambedue divenuti poi i più stretti collaboratori di Mino Martinazzoli, nel passaggio dalla DC al PPI.

In questo contesto, per il centenario della nascita di Moro, così Pierluigi Castagnetti tratteggia Moro.

"Di Moro mi ha sempre colpito il senso della storia, l’intelligenza di capirne il percorso e gli sviluppi, la fatica e il ritmo del suo cammino, condizione necessaria - dunque, squisitamente politica - per poterla orientare verso obiettivi precisi. Non era un politico astratto, come pure lo si è voluto descrivere a causa soprattutto del suo linguaggio sottile e visionario, il presente non lo infastidiva, anzi (“Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità…si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato, con tutte le sue difficoltà”) , ma sapeva inserire il presente in un processo storico imprescindibile, come imprescindibili erano gli ostacoli che la politica doveva affrontare e superare per evitare, appunto, di degenerare in un mero “luogo in cui si decide ciò che accade” (R. Musil). La pazienza del tempo non era per Moro la lentezza dell’azione e ancor meno una sorta di fatalismo, era il massimo del realismo, cioè di quella conoscenza necessaria della realtà e delle sue condizioni, per poterla maneggiare e finalizzare".

 

Lo stesso Martinazzoli, proprio al Palazzo dei Trecento di Treviso, in veste di capogruppo DC alla Camera, il 6 giugno 1987, 8 giorni prima delle elezioni politiche disse di Moro.

"Io ricordo una pagina del giovane Moro il quale esordiva dicendo che certi cattolici naturalmente sono portati ad una diffidenza verso lo Stato, non per questo o quello, ma allo Stato come una possibile intrusione, ma concludeva Moro che lo Stato, lo Stato democratico, lo Stato del valore umano, diceva lui, non mortifica mai la società, ne è la sua regola...

Certo che gestimmo quella stagione, quell'acerbo stato di necessità, tanto più quando incupì e si addensò la minaccia del terrorismo e si fece incerta la sorte della Democrazia Cristiana, governammo quella stagione, con le migliori intelligenze e dico che non è accettabile che oggi la solidarietà nazionale ci venga rimbalzata come una iettatura. Noi possiamo dire che a quella stagione abbiamo sacrificato quanto avevamo di umanamente più prezioso, l'intelligenza e la vita di Aldo Moro. Questa è stata la solidarietà nazionale".

Nella rievocazione di Moro, svoltasi a Valdobbiadene venerdì 23, il relatore ha ricordato che sono circa 500 gli autori, che hanno scritto sul leader democristiano, a testimoniare quanto ancora oggi sia parte essenziale della storia del Paese, perché "Aldo Moro appare in tutta evidenza come il politico a tutto tondo. I valori professati, le scelte coerenti operate, la fede nel cristianesimo vissuto laicamente, l'amore della famiglia hanno fatto di lui non solo un martire politico, come fu in realtà, ma anche un simbolo, una icona, l'eredità più significativa del periodo repubblicano finita in tragedia".

 

Tornando al Presidente Mattarella, ha sottolineato che "sarebbe però sbagliato, pretendere di attualizzarlo, correndo il rischio di deformarlo e travisarlo... Moro era il politico della mediazione ben diversa dal compromesso al ribasso”.

 

Tenendo conto di questo passaggio, è stato chiesto a Nicolò Rocco, un giovane impegnato in politica e in amministrazione, "cosa dice Moro alla sua generazione?".

"La generazione di Moro e Berlinguer sentiva la necessità di completare la transizione democratica e portare l’Italia ad essere una democrazia compiuta.

La mia è una generazione che può dare tanto alla politica e ricevere altrettanto, accettando e riconoscendo le sfide che questo tempo ci mette davanti, capendo quale sia la nostra missione storica.

Le migrazioni, la sostenibilità degli stili di vita, il rapporto fra opportunità tecnologiche e incertezze esistenziali, fra integrazione e assimilazione, fra efficacia e condivisione dei processi decisionali, fra diritti e risorse economiche, fra libertà e sicurezza.

 

Sono tematiche che richiedono una vera e propria fase costituente, che hanno bisogno di politica, di politici e di politiche.

Riscoprire Aldo Moro significa riscoprire la necessità sostanziale del dialogo, di un riconoscimento di obiettivi comuni, di posizioni che non si impongano con la violenza, anche retorica, ma attraverso la persuasione.

Le sfide, enormemente complesse, che il nostro tempo ci consegna, sono troppo grandi per pensare che un solo punto di vista sia risolutivo o basti a se stesso.

Recuperare il senso di un impegno comune significa dunque recuperare anche il rispetto per le posizioni altrui, lo sforzo per riconoscervi qualcosa di buono, la consapevolezza che solo dall’incontro si persegue il fine ultimo, e mai definitivo, della politica: garantire la convivenza pacifica fra gli uomini".

pietro.panzarino@oggitreviso.it

 



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