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19 aprile 2024

Vittorio Veneto

Il mondo cattolico della diocesi vittoriese.

intervista a don Magoga, direttore di L'Azione

| Pietro Panzarino - Vicedirettore |

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| Pietro Panzarino - Vicedirettore |

Il mondo cattolico della diocesi vittoriese.

VITTORIO VENETO - Gli ultimi interventi di Papa Francesco ai cattolici e al mondo intero, compreso quello di sabato scorso a Genova sul mondo del lavoro, incidono anche nel nostro territorio diocesano.

Ne abbiamo parlato con don Alessio Magoga, che dal suo osservatorio privilegiato, in veste di direttore del settimanale L'Azione, presenta in questa intervista il quadro diocesano.

 

Il clero diocesano si è incontrato recentemente con il vescovo Pizziolo. Come è andata? Quali sono stati gli argomenti più significativi esaminati ed eventuali decisioni condivise?

“Sì, ci siamo incontrati come clero diocesano in due occasioni. Precisamente le mattine di giovedì 11 e di giovedì 18 maggio. Si tratta di due appuntamenti ‘tradizionali’, in cui il vescovo e i suoi preti riflettono e discutono insieme su alcuni temi rilevanti per la vita del clero o della diocesi. Quest’anno ci siamo soffermati sul prendersi cura – come presbiteri – gli uni degli altri e ci ha aiutato ad entrare in argomento un’efficace proposta di don Donato Pavone, psicologo e docente della diocesi di Treviso. Non sono emerse particolari decisioni perché questi incontri sono dedicati alla discussione e all’approfondimento e non hanno lo scopo di deliberare delle precise indicazioni operative. Aiutano a creare un certo tipo di mentalità e si configurano come una sorta di aggiornamento dei preti”.

 

Nessuna indicazione concreta allora?

“In realtà, quest’anno il vescovo Corrado alla fine della seconda giornata ci ha consegnato una lettera – indirizzata a ogni prete – dal titolo interessante: ‘Vivere nella complessità in modo sereno’. E in essa ha raccolto e rilanciato quanto emerso nel percorso fatto insieme al clero, che aveva segnalato come problema molto sentito quello della ‘agenda piena’. Pizziolo ci dà indicazioni e orientamenti per non lasciarci travolgere dagli impegni, come ad esempio ricercare l’essenziale, che ruota attorno alla figura di Gesù, e imparare a collaborare sempre più strettamente con i confratelli e con i laici…”.

 

L’agenda piena è anche legata al calo delle vocazioni. Può darci alcuni dati sul clero presente in diocesi e le prospettive future per la “riduzione” delle vocazioni?

“Sì, certo. Per quanto riguarda il clero diocesano (i preti delle parrocchie, tanto per capirci…), se stiamo solo ai numeri, c’è di ché preoccuparsi. Nel 2000 in diocesi i preti diocesani erano 285, mentre nel 2016 sono scesi a 179. In sostanza, in sedici anni sono morti più di cento preti, mentre dal 2003 al 2016 ne sono stati ordinati appena 26. Il divario è molto grande. Il numero delle parrocchie invece è rimasto invariato, cioè 162. Stando ai numeri di giovani presenti nel Seminario, che comunque ci sono e rappresentano un grande dono per la nostra diocesi, non si vede possibile come invertire il processo di riduzione del clero. Attualmente in Seminario ci sono 21 giovani che si stanno preparando – o semplicemente orientando – a diventare preti: 9 nella comunità teologica (i più grandi), 4 nella comunità vocazionale di Castello Roganzuolo e 8 nel seminario minore (i ragazzi delle superiori). Credo che, da un lato, si tratti di entrare sempre più nell’ottica di una chiesa diocesana con un clero meno numeroso rispetto al passato, ma non per questo meno viva e propositiva. E, dall’altro lato, penso che si faccia più urgente la necessità di proporre ai giovani la vocazione al presbiterato, con coraggio, superando pregiudizi e rassegnazione. Questa – secondo me – è la duplice sfida che ci aspetta”.

 

Quella dei “diaconi permanenti” può essere una soluzione? E in quali ambiti della pastorale possono essere inseriti?

“La nostra diocesi da diversi anni sta investendo energie anche sulla formazione dei diaconi permanenti. Sono per lo più uomini sposati, che hanno sostenuto un cammino di preparazione teologico, spirituale e pastorale, di diversi anni e finalizzato all’assunzione di responsabilità all’interno della comunità cristiana. Al 2016 erano ben 26. E circa altri dieci sono in formazione. Il cammino formativo è serio ed è seguito da una équipe diocesana, in stretta collaborazione con il vescovo. Circa il loro ruolo, bisogna fare attenzione a rispettare la loro identità: non sono dei ‘surrogati’ dei preti ma hanno un preciso mandato che trova la sua sintesi nel servizio. Diacono, infatti, vuol dire “servo” e quindi nelle comunità cristiane sono chiamati a tenere viva con le loro parole e azioni la dimensione del servizio”.

 

E cosa può dire più complessivamente del laicato cattolico in diocesi? La sua presenza, il suo impegno... Ci sono indagini statistiche recenti e decisioni sul piano organizzativo?

“Il minimo che si possa dire è che il laicato – nella nostra diocesi come in altre – è una realtà complessa. Le ragioni della complessità stanno nella sua multiformità e eterogeneità. Parlare di laico o di laicato oggi, non indica qualcosa di monolitico e omogeneo: tante e differenti sono le sensibilità che vi possiamo incontrare… Penso alle associazioni cattoliche – all’Azione Cattolica o allo Scoutismo cattolico, tanto per fare due nomi delle associazioni più rappresentative –; ma anche ai laici che si impegnano in parrocchia – nei vari organismi di partecipazione – pur non appartenendo a nessun tipo di associazione; o a quelli che frequentano la parrocchia per i sacramenti, ma danno testimonianza della loro fede a casa, in famiglia, nel lavoro… Davvero, si tratta di mondi molto diversi tra loro – lo si vede anche dalle variegate scelte etiche e politiche – che pur tuttavia si ritrovano attorno alla fede nello stesso Signore.

Non sono a conoscenza di dati statistici sui laici in diocesi, ma un’altra sfida che ci attende come Chiesa sarà certamente quella di proporre cammini di fede seri per il laicato, affinché da un lato si senta coinvolto “corresponsabilmente” nell’accompagnare le comunità cristiane e dall’altro sia incisivo in quello che è il suo principale mandato e su cui papa Francesco insiste particolarmente: portare l’annuncio del vangelo nel mondo, nel lavoro, nella politica, nella famiglia, nelle questioni sociali…”.

 

Papa Francesco ha sollecitato non pochi cambi di mentalità e di atteggiamento nella Chiesa. Ma non mancano alcune prese di distanza e qualche forma di resistenza. Come giudica la situazione diocesana complessivamente rispetto allo stile di Papa Francesco?

“Papa Francesco ha impresso un movimento più accelerato nella vita della Chiesa – di tutta la Chiesa – e basta leggere la Evangelii Gaudium per rendersene conto. Un’accelerazione che a mio avviso ha il sapore del vangelo… Non saprei come definirla altrimenti. E tuttavia è una accelerazione, che esige radicalità, trasformazione e - per usare una parola del nostro lessico - conversione… Ora ogni conversione è faticosa. Lo ricordava qualche tempo fa il card. Stella in una conferenza in diocesi. Pertanto non mi stupisco che ci possano essere delle resistenze, anche da noi. Mi paiono comunque minoritarie. Anche se non vanno sottovalutate… I punti più controversi del suo papato riguardano l’invito all’accoglienza dei migranti e l’accusa – a mio avviso mistificante, cioè falsa – di essere un relativista, cioè un demolitore della saldezza della fede di un tempo”.

 

È direttore de L’Azione dal 2016. Da questo osservatorio privilegiato come presenterebbe la chiesa diocesana?

“Questo anno e mezzo di direzione – che vivo come un servizio alla diocesi – mi ha permesso di fare esperienza diretta della varietà di sensibilità – culturali, ecclesiali e politiche - che animano la nostra diocesi. Eppure siamo tutti battezzati nell’unico Signore e appartenenti alla stessa Chiesa… La sfida credo sia quella di vedere la varietà e multiformità come una ricchezza – come dice spesso un mio confratello – e non come una minaccia, un pericolo. Dall’altro lato, sento di dover dire che i laici sono cresciuti molto, cioè hanno sviluppato una grande capacità critica e di autonomia. Un altro mio confratello dice spesso che quello che stiamo vivendo è un periodo molto esigente ma anche bellissimo, perché – pur nella fatica – ora il vangelo si annuncia con più libertà e a persone adulte e mature. Non è sempre stato così in passato”.

pietro.panarino@oggitreviso.it

 


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