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25 aprile 2024

Montebelluna

Getahum Tamrat, da profugo a cittadino

Giavera del Montello conferisce oggi la cittadinanza all'etiope arrivato in Italia come rifugiato politico

| Barbara Carrer |

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| Barbara Carrer |

Getahum Tamrat, da profugo a cittadino

GIAVERA DEL MONTELLO - Quella di Getahum Tamrat, rifugiato politico di origine etiope che dopo una serie di drammatiche peripezie tra cui la prigione e la tortura, è stato "adottato" dal Comune di Giavera del Montello che oggi, 30 giugno, gli conferirà la cittadinanza italiana, è una di quelle belle storie che dovrebbero iniziare con "c'era una volta" e terminare con "e vissero felici e contenti".

 

Nonostante il suo percorso esistenziale contenga tutti gli elementi per un buon romanzo di avventura, non si tratta di una favola, ma di vicende di vita vera il cui lieto fine veste i colori dell'impegno, dell'integrazione, del rispetto per le differenze come mezzo di arricchimento e non come motivo di discriminazione. Oggi Gaetano (come lo chiamano i suoi concittadini) è responsabile di reparto in un'industria metalmeccanica, consigliere direttivo dell'Avis, fa parte dell'Enpa e dell'organizzazione della festa multietnica "Ritmi e danze dal mondo". Il tutto nel "diffidente" Nord Est che, a detta sua, lo ha accolto a braccia aperte, dimostrandogli aiuto e solidarietà Il suo segreto? Buona volontà, ottimismo, coraggio e una buona dose di fortuna.

 

Fatti incredibili, viaggi rocamboleschi, colpi di stato che hanno per protagonisti nobili defraudati e dittatori tiranni, lei non si è fatto davvero mancare nulla, ma iniziamo dal principio...

Appartenevo a una nobile e abbiente famiglia, mia madre era una contessa etiope e mio padre un rettore universitario eritreo. Dopo il colpo di Stato che portò al potere il dittatore Mengistu, papà venne fucilato davanti all'Università di Addis Abeba da un gruppo di guerriglieri come migliaia di presunti oppositori politici. Abbiamo dovuto pagare per riavere il suo corpo.

 

Poi cosa accadde?

Fino all'età di 12 anni rimasi nella villa di famiglia, poi mia madre morì di polmonite e io rimasi solo. Al dolore del lutto si aggiunse un ulteriore fatto drammatico: il colonnello Abebe Chala, alleatosi con una fazione ribelle, piombò in casa nostra e se ne impossessò senza nessun diritto, sbattendomi fuori. Nessun parente mi accolse perchè mia madre era stata diseredata in quanto compagna di un eritreo e i parenti di mio padre erano contrari a quell'unione per la stessa ragione

 

Dove andò allora?

Per due anni vissi per strada chiedendo l'elemosina, poi feci un incontro che mi cambiò la vita, quello con Padre Mosè. Il sacerdote mi raccolse e mi portò all'orfanotrofio di San Francesco ad Addis Abeba dove rimasi per due anni finchè non mi arrestarono e mi sbatterono in carcere senza darmi una motivazione. Rimasi in galera per tre anni subendo violenze e percosse di ogni genere al punto che un colpo in testa con un tubo di ferro mi ridusse alla completa cecità

 

Rimasi in galera per tre anni subendo violenze e percosse di ogni genere al punto che un colpo in testa con un tubo di ferro mi ridusse alla completa cecità

Continui...

Cieco e distrutto fisicamente e psicologicamente tornai da Padre Mosè e lì feci il secondo incontro importante della mia vita: quello con Roberto Rabattoni, presidente del Centro Aiuti per l'Etiopia che mi portò a Milano per fare un'operazione agli occhi che mi ridiede la vista.

 

Ma i guai purtroppo non erano finiti.

Dopo la convalescenza il visto era scaduto e dovetti tornare al mio paese con l'obbligo di cambiare identità per far perdere le mie tracce e non essere nuovamente arrestato dal regime.

Com' è arrivato in Veneto?

Dopo aver lavorato a Milano per otto mesi presso un ristoratore disonesto che mi ha sfruttato senza pagarmi, vivendo abusivamente in un alloggio abbandonato, dopo aver tentato più volte, da clandestino, il viaggio verso Londra (dove sognavo di andare a fare il cuoco) stipato a bordo di un tir, ho incontrato Don Bruno Baratto che gestiva la Casa Accoglienza per lavoratori emigrati a Giavera del Montello.

 

E lì si è integrato alla perfezione a quanto so...

Ho cambiato mille lavori "a chiamata", svegliandomi alle tre del mattino e facendo chilometri in bicicletta con qualsiasi condizione climatica fino ad arrivare alla mia attuale occupazione: un' industria metalmeccanica. Da un contratto di nove giorni sono diventato responsabile di reparto, integrandomi perfettamente con i miei concittadini. Ho fatto la patente, sono consigliere direttivo dell'Avis e volontario dell'Enpa.

 

La sua è quella che si può definire una storia a lieto fine che dà speranza. Cosa le manca ora per essere pienamente felice?

Vorrei che i miei genitori avessero visto dove sono arrivato e ora potessero condividere la mia gioia.

Cosa prova per chi le ha tolto tutto?

La vendetta non potrebbe restituirmi i miei cari e la sofferenza genera solo altra sofferenza. Da cristiano credo nel perdono anche se un fondo di rabbia rimane.

 

In Veneto ha conosciuto il razzismo?

Non ho mai avuto problemi di discriminazione, ad eccezione di un mio collega che mi definiva "sporco negro". Ho preferito non reagire e dimostrare con i fatti chi ero. Alla fine mi ha stimato, tanto da chiedermi di dare lezioni di inglese alla figlia. Qui, come nel resto dell' Italia, ho trovato grande solidarietà.

 

Cosa pensa dell'attuale e grave problema dei profughi?

In Africa ci sono due grandi piaghe: la povertà e la guerra. Le persone che fuggono dal loro paese, affrontando un viaggio in condizioni disumane con grandi spese, lo fanno per evitare di morire, per cercare uno spiraglio di luce infondo al tunnel. Il problema è complesso e l'Italia da sola non può risolverlo, ci deve essere cooperazione a livello internazionale

Barbara Carrer

 


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