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28 marzo 2024

Esteri

Gerusalemme capitale, il perché della scelta di Trump

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Gerusalemme capitale, il perché della scelta di Trump

Una decisione controversa. Donald Trump ha scelto di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e avviare il processo di trasferimento della ambasciata Usa valutando più convenienze politiche che diplomatiche. E mantenere le promesse elettorali fatte ad importanti finanziatori pro Israele e ai leader della destra cristiana, base elettorale cruciale per la sua vittoria e il proseguimento della sua 'rivoluzione'.

"La decisione non è stata presa nell'ambito del processo di pace ma per rispettare le promessa della campagna elettorale", ha riferito una fonte governativa al 'Washington Post', citando anche consiglieri che affermano che il presidente - che nelle ultime settimane ha chiesto il parere di molti - sembrava non avere la comprensione piena della complessa questione e invece appariva soprattutto concentrato sull'apparire "pro Israele".

LAS VEGAS - Le pressioni principali sono arrivate da Sheldon Adelson, il magnate dei casinò di Las Vegas, grande sostenitore di Israele molto vicino a Benjamin Netanyahu, che durante la campagna elettorale ha versato ben 20 milioni di dollari nelle casse di Trump e 1,5 milioni alla convention Gop, dopo la promessa esplicita dell'allora candidato del trasferimento dell'ambasciata.

Per questo Adelson - che, riporta il 'New York Times', a 10 giorni dall'insediamento di Trump affermava che il nuovo presidente gli aveva promesso che la questione di Gerusalemme sarebbe stata prioritaria - si infuriò quando, lo scorso giugno, il presidente non mantenne la sua promessa.

LA CENA - Da allora ci sono stati frequenti contatti con Trump, Jared Kushner, Stephen Bannon e anche una cena alla Casa Bianca insieme alla moglie Miriam.

Uguale la delusione e le pressioni dei gruppi della destra cristiana: "In diversi incontri gli evangelici e i cristiani che credono nella Bibbia hanno rimarcato la particolare relazione con Israele", ha dichiarato Tony Perkins. Non a caso, prima dell'annuncio, la Casa Bianca ha organizzato una conference call con i leader religiosi come Ralph Reed, fondatore della 'Faith and Freedom Coalition', e Mike Evans, esponente del gruppo dei cristiani sionisti. I CRISTIANI - Gruppi che hanno anche il sostegno del vice presidente Mike Pence, di cui è nota la vicinanza a gruppi ultra-conservatori cristiani, che era uno dei più accesi sostenitori del riconoscimento di Gerusalemme all'interno dell'amministrazione. Mentre il segretario di Stato, Rex Tillerson, e il capo del Pentagono, Jim Mattis, hanno espresso posizioni più caute, chiedendo più tempo per predisporre misure di sicurezza soprattutto nelle sedi diplomatiche nei Paesi a rischio. STATUS QUO - Secondo quanto rivelato, Kushner e Jason Greenblat - che a giugno avevano convinto il presidente ad aspettare - anche hanno sostenuto la mossa affermando che uno scossone allo status quo avrebbe potuto aiutare più che danneggiare il processo di pace. Riconoscendo la possibilità che l'annuncio potrà provocare nell'immediato proteste e reazioni diplomatiche, il miliardario immobiliarista e l'avvocato a cui Trump ha affidato le sorti della pace in Medio Oriente si sono detti convinti che la scelta possa far superare lo choc.

 


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