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28 marzo 2024

Treviso

Dalla DC di Moro al PPI di Martinazzoli

L'ultima opera di Panzarino sulla storia DC, dall'omicidio dello statista all'alba della "Seconda Repubblica"

| Davide Bellacicco |

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| Davide Bellacicco |

libro panzarino

9 maggio 1978. La tragica morte di Aldo Moro segna una battuta d’arresto nella rotta di avvicinamento fra due culture, due diverse letture della storia che, complice la Guerra Fredda in atto, polarizzavano l’elettorato.

Si chiama Dalla DC del dopo Moro al PPI di Martinazzoli, edito De Bastiani ed è l’ultimo libro di Pietro Panzarino, giornalista vicedirettore di OggiTreviso. Parte da qui, dallo smarrimento di una Democrazia Cristiana e di un sistema politico che deve ritrovare nuovi equilibri, operando una scelta per la conservazione di quelle contrapposizioni che fino a poco prima erano in corso di attenuazione e questo come in una sorta di volontà di rifugiarsi in un porto sicuro. Si passa, dunque, dal Compromesso Storico al Preambolo di Donat-Cattin e delle correnti moderate che impongono la chiusura al PCI e la cesura con il recente passato: il rapporto obbligato e quindi anche la dipendenza da un PSI sempre più spregiudicato e vorace nei rapporti di forza con gli altri partiti della coalizione di governo nasce da qui.

 

Sono gli anni ’80, quelli della inarrestabile ascesa degli uomini nuovi, di Bettino Craxi e Ciriaco de Mita: l’opera di Panzarino pone in luce tutti i limiti della segreteria di quest’ultimo, “azzoppata” quasi sul nascere da una debacle elettorale come quella del 1983 e perennemente ostaggio del correntismo; Craxi è onnipresente, sullo sfondo, forse il vero unico regista di quella stagione.

Su tutta la narrazione aleggiano i virgolettati degli interventi di quel Mino Martinazzoli che, in modo risoluto e a lungo aveva denunciato la necessità di un rinnovamento che costituisse un ritorno alle origini, alle ragioni ultime dell’impegno dei cattolici in politica e al quale saranno consegnate le chiavi della segreteria troppo tardi perché il popolarismo italiano non prenda la piega di una storia già scritta, di un destino segnato.

 

L’epopea dei referendari di Segni appare, pur nella bontà delle intenzioni, non solo scomposta e di ostacolo al disegno martinazzoliano, che dovrà di volta in volta adeguarsi al fatto compiuto di referendum dalle conseguenze ignote, ma anche ispirata da proposte e idee oggi valutabili più opportunamente come figlie di un retaggio culturale troppo dissonante rispetto a quello popolare. In un disegno che nella politica italiana pare ripetersi con una certa tragica costanza, le stagioni si chiudono e i partiti sono colpiti a morte proprio dalle leggi elettorali da essi stessi tenacemente difese fino al giorno del voto.

 

L’ultima parte del libro assume un sapore agrodolce: i tempi sono cambiati e non c’entra solo la caduta del Muro. Si fa largo un modo diverso di concepire la politica, sempre meno concertata in quel corpo intermedio che è il partito, con le sue regole di democrazia e il gioco di quelle correnti che, malgrado gli evidenti abusi, avevano garantito equilibrio e unità di intenti.

Dopo Craxi e De Mita viene meno la capacità di sintesi e, nell’emergere delle ambizioni personali di gregari sopravvissuti più che di cavalli di razza, persino a scapito dell’integrità della propria comunità, aleggia una parola nuova: scissione.

Il racconto di Panzarino si ferma qui, un minuto prima del big bang, del colpo finale che darà il via definitivo alla diaspora dei cattolici democratici: il resto è Seconda Repubblica, più che l’araba fenice risorta dalle ceneri di Mani Pulite e del clientelismo dominante di quegli anni, l’ircocervo che conosciamo, ma questa è un’altra storia. La cronaca degli eventi scorre veloce, fra fatti e riflessioni dei protagonisti dell’epoca, riportate dall’autore a testimonianza della pluralità di interpretazioni delle circostanze. La narrazione rapisce il lettore con l’espediente delle curiosità poco note e dei retroscena di eventi celebri, suggeriti dai diretti interessati o ricostruiti dalle fonti del tempo.

 

In chiusura, per gli amanti del genere, le interviste a due personaggi chiave di quel tempo, l’allora Ministro Enzo Scotti (DC) e il socialista Gennaro Acquaviva.

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