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28 marzo 2024

Cronaca vittoriese

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Remo Serafin | commenti |

Un collega e collaboratore, lamenta la mia lunga assenza da questo Blog, che sarebbe stata causata da alcuni futili commenti apparsi negli ultimi post, in risposta ai quali avrei debordato dal mio usuale aplomb, inoltre mi rimprovera (bonariamente of corse) di non avere reagito con la stessa energia, nel caso di ben più pesanti provocazioni apparse a suo tempo anche nella stampa nazionale.

 

L’appunto era relativo ad un lungo articolo “Comprarsi una reggia” apparso sul numero 313/2006 del mensile “Capital”, dove il notaio Roberto Blandaleone di Vittorio Veneto, celebrava le meraviglie del restauro del Raja’s Palace (Palazzo Reale) di Gogunda, di sua proprietà, situato in Rajasthan India, del quale ero stato incaricato del progetto, direzione lavori e direzione artistica, nonché project manager.

 

Dopo circa 4 anni di attività, il notaio aveva deciso di non pagare le competenze professionali pregresse che avevano oramai raggiunto un importo superiore al mezzo milione di euro, per cui avevo attivato una procedura per il recupero del credito.

 

Nell’articolo citato, i proprietari, evidentemente indispettiti per il contenzioso, si erano “dimenticati” di indicare, quali autori del restauro, il sottoscritto e altri 9 collaboratori, indicando invece dei fantomatici personaggi, escluso il B.A. Ashok Detha, titolare dell’impresa BB Construction Ltd., di Udaipur, che ha eseguito i lavori.

 

In quell’occasione mi ero limitato ad inviare una lettera di rettifica e precisazioni al mensile “Capital”, e la notizia era stata ripresa ed enfatizzata nei quotidiani “Il Gazzettino” e “La Tribuna” del 28 marzo 2006, ma essendo pendente la causa legale, avevo preferito non replicare, evitando inutili polemiche, anche perché in quel periodo mi trovavo all’estero, e comunque in questi casi, prima o poi, “ci si rivede a Filippi”.

 

Trattandosi di questioni strettamente personali e riservate, e pure avendo a disposizione una notevole quantità di interessante materiale artistico-etnico-storiografico, avevo definitivamente rinunciato a scriverne anche su questo blog.

 

Però il collega, che a suo tempo aveva raccolto tutti gli articoli inerenti il caso, mi sottopone due ritagli di quotidiani, con interviste rilasciate da un avvocato di Vittorio Veneto, Daniele Bellot, legale del notaio Blandaleone.

 

Ne “Il Gazzettino” del 29 marzo 2006, il Bellot, dopo una sequenza di falsità diffamanti a mio carico, tra le quali anche l’accusa di “truffa”, terminava l’intervista con: “Non appena questa circostanza (la truffa!)  emergerà nell’ambito dell’istruttoria in corso, sarà investita dei fatti la Procura della Repubblica, essendo evidente che qui si configurano gli estremi di un reato” (sic!), e sempre il Bellot: “tentativo di truffa” ne “La Tribuna” dello stesso giorno.

 

Gli articoli pubblicati erano chiaramente e scientemente una azione di “sputtanamento” (mi si passi il termine e chiedo scusa ai lettori) volta ad influenzare negativamente l’opinione pubblica, e non solo, nei miei confronti, e a supportare la tesi della truffa.

 

Il Bellot, travolto da un eccesso di protagonismo, si era probabilmente dimenticato che, in questo paese, le sentenze sono pronunciate dai giudici, nei tribunali, al termine di un processo, e non dagli avvocati prima dell’istruttoria.

 

Queste non sono provocazioni, ma diffamazione a mezzo stampa, della quale ne sono a conoscenza solo ora, ed a questo punto, essendo stata, questa vicenda, ampiamente pubblicizzata e sdoganata dal citato avvocato, nessuno se ne avrà a male se aggiungo qualche altro particolare (estrapolato dagli atti).

 

***

 

La mia attività si è svolta per circa 4 anni, senza alcuna contestazione, anzi, al rientro dal mio ultimo sopralluogo effettuato nel cantiere in India, il committente elogiava per iscritto la correttezza e regolarità delle mie prestazioni professionali: “… riteniamo che il Suo operato sia stato proporzionato ai tempi e costi …”.

 

Stranamente però, pure scrivendomi dal suo studio in Vittorio Veneto, il notaio aveva utilizzato, per la prima volta, una lettera della società “HBH pvt. Lmt.” con sede a New Delhi, intestataria dell’immobile, da cui si evince un furbesco tentativo di far dirottare le richieste di pagamento in India, verso un soggetto giuridico di sola rappresentanza e privo di capacità economica.

 

Infatti, l’atto di citazione dell’avv. Bellot, in opposizione al decreto ingiuntivo, recitava: “L’opponente (cioè il notaio Blandaleone)  non è l’interlocutore dell’Arch. Serafin …”, aggiungendo che: ”L’immobile restaurando è, infatti, di proprietà della società di diritto indiano -Human Beings Heritage Private Limited-…”.

 

Tanto per chiarire, la società HBH Pvt. Lmt. (intestata alla moglie e figlia dello stesso notaio), era stata da me istituita “ad hoc”, presso lo studio legale Singhania & Co. di New Delhi, unicamente per consentire l’acquisto dell’immobile in India, secondo la normativa vigente in quel paese; altro soggetto è invece il committente dei lavori, cioè il notaio stesso, come risulta da apposita convenzione di incarico, documenti e testimonianze varie, comprese quelle dei collaboratori del suo studio notarile.

 

Francamente non so perché il notaio, che non è uno sprovveduto e che conosce molto bene da lunga data le mie competenze in materia, abbia deciso di cavalcare tale sconclusionata idea. Evidentemente sperava (o chi per esso) che, ammesso e non concesso, distrattamente mi fossi rivolto in India dove qualunque causa giudiziaria è una odissea con termine alle calende greche.

 

Comunque sia, l’avvocato Bellot in previsione del fallimento del tentativo di dirottamento sopra descritto, “…per mero scrupolo difensivo, si precisa che, anche nell’ipotesi in cui fossero ravvisabili dei rapporti riconducibili al nome del notaio Blandaleone ecc…”, aggiungeva nell’opposizione al predetto decreto ingiuntivo, il teorema della truffa basato sulla supposta inesistenza (?) della mia attività, e come ultima ratio, ammetteva l’attività, ma con tutto il repertorio delle generiche, rituali e possibili contestazioni (ovviamente mai dimostrate).

 

Cioè un teatrino messo in piedi unicamente per allungare i tempi del processo e consentire al committente di mettere al sicuro i suoi beni da eventuali azioni di “sequestro cautelativo”.

 

Di seguito, solo a titolo di esempio, alcune “perle” trascritte agli atti:

1. L’avvocato nella “memoria autorizzata a prova diretta” contesta: “…in primis, l’avvenuto svolgimento di qualsiasi attività professionale da parte dell’Arch. Serafin, nonché l’asserita collaborazione dei consulenti indicati…”, affermazione smentita dallo stesso notaio che in udienza testimoni confessa: “… non con frequenza giornaliera, ma un giorno si e uno no, mi portavo presso lo studio dell’Architetto Serafin per conferire con lui in ordine al restauro del Palazzo…”;

 

2. All’udienza testimoni una mia collaboratrice di madrelingua inglese, asseriva che nello studio le comunicazioni interpersonali si svolgevano esclusivamente in lingua inglese; più che ovvio, dato che il progetto da realizzare si trovava in India e tutte le attività sono sempre state svolte in tale lingua (trattative e contratto di compravendita con lo studio legale indiano, progetto, computi metrici, autorizzazioni, contratto di appalto, installazione del cantiere, ecc., nonché i rapporti con le autorità, ditte e lavoratori locali per i quali oltre all’inglese è necessario conoscere anche la terminologia tecnica in lingua Hindi e nelle lingue locali Rajasthani, Bhili e Marwari ).

C’era quindi la necessità di tradurre i miei rapporti e relazioni per il notaio, dall’inglese all’italiano, ma per l’avvocato Bellot il fatto che io non scrivessi direttamente in italiano, era considerata una incomprensibile “stranezza” (sic!), degna di essere segnalata nelle prove di causa, quale ulteriore tassello nella costruzione della ipotetica truffa;

 

3. In sede di difesa il Bellot negava l’esistenza di pagamenti precedenti in acconto: “…ci limitiamo, però, ad un accenno sulle fatture prodotte ed intestate al notaio Blandaleone. Questi non ha mai ricevuto quei documenti fiscali…” salvo poi scrivere al mio legale, lamentando con certosina precisione: “… gli acconti ammontano, comunque, a Euro ‘x’, e non a Euro ‘y’…”

 

***

 

Agli atti esiste un unico progetto di restauro filologico del Palazzo Reale indiano (tra l’altro premiato in un concorso Autodesk di progettazione tridimensionale), con i relativi elaborati esecutivi, documenti di contabilità, direzione lavori, ecc., e quindi non è semplice mettere in piedi il teorema della truffa.

 

Bisogna organizzare un carrozzone cum doctorum et magorum, nonché arruolare sedicenti progettisti (che questa volta, chissà perché, sono diversi da quelli fantasiosi citati nell’articolo della rivista “Capital”), dai quali ci si aspetterebbe che, dopo avere ricevuto un incarico valido, si siano recati in India, abbiano la padronanza fluente almeno della lingua inglese, abbiano espletato ricerche storico-archeologiche, eseguito sopralluoghi, rilievi e progetti, con conoscenza dei caratteri stilistici delle architetture Hindi, Mughal e Jain, in particolare i concetti dell’architettura “Vastu” (Vaastu Purusha mandala o Paramasayika Vaastu mandala), e lo stile Rajput, prevalente nel palazzo nel periodo dal 1450 fino al 1750, fino alle contaminazioni architettoniche causate dall’occupazione inglese terminata nel 1947, e naturalmente il tutto deve essere poi dimostrato.

 

Un “professionista”, coinvolto in qualche cosa che non lo riguarda dovrebbe riferire immediatamente al giudice, senza aspettare l’udienza testimoni, dove invece si presentava il geometra (?) Brun di Farra di Soligo (TV), che non mai messo piede in India, non sa nulla del progetto. Sembra in attesa che succeda qualche cosa e parla vagamente di “un serramento” che avrebbe disegnato. Non risulta depositato alcun documento che comprovi tale qualifica e nessuna fattura per l’ipotetico lavoro svolto.

 

Risultava iscritto quale “progettista” anche lo studio dell’architetto Alberto Zanon di Vittorio Veneto TV, e siccome la questione rivestiva non indifferenti aspetti deontologici, ne informavo in via riservata l’allora presidente dell’Ordine degli Architetti di Treviso, il quale mi rispondeva: “non risulta che l’arch. Zanon abbia rapporti professionali con il Tuo committente relativamente all’opera per cui eri stato incaricato”.

 

Bene, mi sembrava quantomeno una stravaganza estemporanea che un “collega” si fosse abbassato a tanto, ma all’udienza testimoni si presentava (all’insaputa del padre?), il figlio dell’architetto Alberto Zanon, cioè l’architetto Massimiliano Zanon, dello stesso studio, che, con una certa arroganza, affermava di essere il “progettista”, annunciando “tavole grafiche architettoniche”, cioè piante di pavimentazioni di alcuni locali (tra l’altro già realizzate a suo tempo), maldestramente scopiazzate dal mio progetto che, per evitare problemi deontologici, dichiarava di non avere mai visto.

 

Se dovessi essere coinvolto in una sceneggiata del genere, probabilmente non uscirei più di casa; questi personaggetti invece vanno in giro a distribuire patenti di moralità presso Amministrazioni Pubbliche, Enti e Parrocchie. Tempo fa ho partecipato ad un seminario professionale obbligatorio, e uno dei relatori era l’architetto Zanon che ammaestrava la platea sul tema della deontologia, incarichi professionali e parcelle (!).

 

Ci sarebbe una pletora di altri personaggi intervenuti in causa a vario titolo; uno per tutti un consulente tecnico del committente, l’ing. Maset di S. Pietro di Feletto TV, che si guadagna la citazione soprattutto per la supponenza e la maleducazione con le quali, in mancanza di qualunque argomento valido, si è rancorosamente esplicitato in commenti e scritti denigratori sulle capacità professionali altrui.

 

Il “super consulente”, prima se ne esce con la bizzarra teoria che in India non servono autorizzazioni per eseguire lavori (sic!), poi, dopo avere superficialmente esaminato e liquidato con insofferenza la documentazione di progetto, contesta che: “… in tutta la documentazione agli atti non esiste prova che alcun elaborato sia stato trasmesso alle autorità locali né tanto meno autorizzato dalle stesse…”.

 

Sembra inutile aggiungere che l’autorizzazione è depositata agli atti del processo (Documento n. 358: No Objection Certificate), ma essendo scritta in lingua Hindi con traduzione in Inglese, lo “scienziato” avrà avuto serie difficoltà a capire.

 

***

 

Il CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio, nominato dal Tribunale), presidente di un noto Ordine Professionale, esaminata la documentazione agli atti, non rilevava alcuna contestazione, ritenendo persino superfluo effettuare il sopralluogo in India, e procedeva direttamente al calcolo della parcella per un importo di € 515.127,74 (un importo simile era stato confermato anche dalla Commissione Parcelle dell’ordine Professionale), salvo poi applicare, a sua discrezione, delle riduzioni, in quanto tra le varie centinaia di documenti spediti e ricevuti via e-mail, alcuni sarebbero “senza data certa”, ipotizzando (?) quindi un inesistente ritardo, anche se nella sua relazione, al punto 3.4 di pag. 17, lo stesso CTU scrive che, riferendosi a questo argomento, il committente: “… non ne ha mai fatto cenno né quindi, tantomeno, preso in considerazione, né quindi, mai applicata nessuna penale…”

 

Inutilmente avevo messo a disposizione il computer dello studio per una expertise legale che avrebbe confermato la datazione certa dei documenti (come noto agli esperti in “digital forensics”, i files si possono alterare ma in tal caso i “dati estesi” ne rivelerebbero comunque la manomissione).

 

Non entro in merito alla decisione del CTU nella sua veste di “ausiliare del giudice”; evidentemente ognuno usa il proprio metodo. Per quanto mi riguarda, nelle mie consulenze lascio da parte teoremi, esercitazioni, ipotesi, ed elucubrazioni: La contestazione c’è oppure non c’è, “tertium non datur”, altrimenti le consulenze tecniche le possono fare anche i filosofi.

 

***

 

Per finire, il Tribunale di Treviso, disattesa ogni contraria istanza, con sentenza esecutiva n. 2247/14, condannava il notaio Roberto Blandaleone al pagamento della somma quantificata in complessivi € 505.368,59= oltre agli interessi dalla notifica.



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