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29 marzo 2024

Treviso

Chiari e Forti: storia di una rinascita incompiuta

| Davide Bellacicco |

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| Davide Bellacicco |

chiari e forti

SILEA - L’incendio di ieri sera è stato l’ultimo capitolo di una lunga storia, la storia di uno stabilimento che da simbolo della dinamicità del tessuto industriale locale, è divenuto prima un’ingombrante area abbandonata, poi da riconvertire secondo i piani di chi aveva intuito le potenzialità di un nuovo polo commerciale o immobiliare e, infine, a sogni sfumati, l’ennesimo grumo di capannoni relitti di un tempo passato, perché alle strutture più belle diamo la medaglia di esempio di archeologia industriale e quella arsa ieri sera lo meritava davvero, ma sempre di edifici dimenticati parliamo.  Facciamo un passo indietro.


Correva l’anno 1995 quando, dopo aver mancato l’obiettivo tre anni prima, Giulio Malgara, ex top manager della Quaker, multinazionale americana attiva sul mercato alimentare, rileva alcuni rami della stessa azienda mediante la Garma Gourmet, società sorta da una joint venture con Raul Gardini. Nell’accordo passa di mano il marchio Olio Cuore e anche lo stabilimento di Silea.  Si tratta di un ritorno a casa per Malgara, che aveva già guidato la Chiari & Forti, già proprietaria di marchio e impianti, dal 1975 al 1979. La spesa è ingente e si renderà necessario l’ingresso di nuovi soci mediante un cospicuo aumento di capitale. La Famiglia Violati (già proprietaria della Ferrarelle), il Mediocredito Lombardo e una serie di società finanziarie entrano nella partita. Nel 1996 la Garma Gourmet cambia denominazione in Chiari & Forti, riprendendo lo storico nome della realtà italiana, ceduta dallo stesso Malgara agli americani nel 1979.


Gli anni successivi saranno caratterizzati da una serie di acquisizioni che espanderanno notevolmente il gruppo ma che si riveleranno nel tempo foriere di un indebitamento non trascurabile.


Nel 2001 il Presidente Malgara, a seguito della cessione di tutte le quote da parte degli altri investitori, diviene azionista unico. L’area di Silea segue le sorti dell’azienda.  Il debito ammonta a 175 milioni di euro.


Si procede con una raffica di dismissioni. Il marchio Olio Cuore è nella lista: passa alla Bonomelli per 80 milioni ma a Silea si festeggia comunque, giacché per i due anni successivi la struttura continuerà a produrre olio per conto terzi.  Le dismissioni danno il risultato sperato e, a fine 2003 l’azienda registra un indebitamento di 19 milioni.


Sono gli anni in cui si inizia a pensare a un futuro per l’area, essendo ormai certa la chiusura dell’impianto produttivo a fine 2004. Malgara si offre di finanziare la riqualificazione assieme ad una cordata di imprenditori immobiliari. La trasformazione di ben nove ettari in una cittadella di stile medioevale, con alloggi, hotel, servizi e uffici per la pubblica amministrazione e per le imprese del territorio, si stima, dovrebbe costare 250 milioni di euro.


Nel 2006 Malgara cede in blocco per 25 milioni tutto il conglomerato sul Sile a Francesco Bellavista Caltagirone, editore del Gazzettino che la rileva mediante la Acqua Pia Antica Marcia, società romana sorta nell’800 per l’approvvigionamento idrico della capitale per poi essere lanciata nel mercato immobiliare e del turismo. Il progetto di riqualificazione resta al centro dell’operazione. Obiettivo: aprire i cantieri nel 2007 e ultimare l’opera nel 2010. I lavori non si avviano, complice il ritiro dell’azienda aggiudicataria degli appalti, causa crisi. Le inchieste giudiziarie e l’arresto di Caltagirone nel 2012, unite ad un indebitamento del tutto insostenibile della Acqua Pia Antica Marcia derivante anch’esso dalla congiuntura economica che conosciamo, faranno il resto (all’epoca si parlò di oltre mezzo miliardo di euro): all’azzeramento del cda seguirà la richiesta di concordato preventivo. Silea Parco, controllata della società di Caltagirone e titolare dell’ex Chiari e Forti, risulta indebitata per 27 milioni, al netto delle somme rimesse dalla capogruppo.


Lo stabilimento va all’asta. Base fissata a 12,3 milioni: deserto. A gennaio il secondo tentativo: si parte da 11,3 milioni ma anche qui nulla di fatto. La situazione si fa tragica per i creditori: per banche, enti pubblici e studi di consulenza (es. gli 89.000 € dovuti allo studio legale Barel), la torta da spartire è sempre più magra. Fra due giorni scadono i termini di presentazione per le offerte di acquisto relative alla terza asta. Questa volta si procede da 9,1 milioni, ma dopo l’incendio del Mulino Toso, il Piccolo Stucky di Silea del primo novecento sul cui pregio architettonico tanto si è scritto e si è studiato, la strada è tutta in salita. Il rogo al tramonto di un edificio abbandonato, privo di corrente elettrica e alla vigilia della terza asta getta ombre inquietanti. Resta una considerazione: se sarà dimostrata l’ipotesi del dolo ci si dovrà chiedere a chi conveniva una fine tanto ingloriosa. Certamente non al ceto creditorio per cui si rivelerà l’ennesima scure.  


Silea potrebbe così salutare ogni speranza di vedere realizzato nel suo territorio uno dei più straordinari esempi di recupero. Al comune non restano che ingenti crediti per le tasse non versate (1,2 mln) e l’amarezza per quei 13 milioni in opere pubbliche promesse e sfumate. L’ex Chiari e Forti, passata di mano molte volte, spesso forse anche con le migliori intenzioni se ricordiamo il clima di festa che quel ritorno in mani italiane portò decenni fa, è ora a un bivio, forse uno dei tanti della sua gloriosa storia, forse quello decisivo perché risorga dalle ceneri come l’araba fenice e riporti benessere ai cittadini di Silea. Sapremo fra due giorni se questo nuovo capitolo sarà destinato a concludersi con la parola fine.


 


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Davide Bellacicco

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