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28 marzo 2024

C'è qualcosa che non va!

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Alberta Bellussi | commenti |

inceneritori

C’è qualcosa che non va!

Mah!  perché autorizzare questi scempi?

Viviamo un mondo veloce anzi velocissimo; anche le preoccupazioni che catturano i nostri pensieri e le nostre riflessioni sono di passaggio e cambiano ogni giorno secondo l’importanza e la pressione che danno i mezzi di comunicazione. Un giorno ci sembra che le sorti del pianeta siano l’argomento più angosciante per il futuro e ci arrovelliamo in ragionamenti su possibili sorti apocalittiche;  un  momento dopo abbiamo paura di capitare, per nostra sfortuna, nel percorso di qualche terrorista.

In quale ordine ci dobbiamo preoccupare? Se un ordine c’è!

 Davvero i PM10 dopo qualche giorno di pioggia non ci devono  preoccupare ora che non c’è più il grande “incubo ambientalista” del Panevin?

Mah!

Era appena un mese fa, quando  a Parigi si discuteva  di clima e tutela del Pianeta, le scarse precipitazioni preannunciavano il raggiungimento del picco di livelli di inquinamento dell’ aria, e nello stesso tempo di queste emergenze ambientali  circolava, già,  una nuova bozza di decreto per la realizzazione di alcuni impianti di incenerimento indirizzata girava nei Palazzi del Governo e del Ministero dell’Ambiente.

 Buona notizia: i 12 che erano previsti nella bozza di luglio non ci saranno. Cattiva notizia: ne restano nove. In Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Sardegna e due in Sicilia si dovranno bruciare 1.951.261 tonnellate di rifiuti l’ anno. Rispetto alla prima bozza vengono stracciati gli impianti di Piemonte, Liguria e Veneto. La nostra Regione è stata eliminata a  fronte di un ammirevole obiettivo raggiunto e ormai consolidato di raccolta differenziata dei rifiuti pari al 76%.  Con i 40 già attivi e i sei in fase di realizzazione, il totale degli inceneritori  italiani sarà di 55 inceneritori.

Il testo prevedeva l’ autorizzazione di dodici nuovi impianti ed esortava la Conferenza delle Regioni a discuterne il prima possibile per evitare una procedura di infrazione Ue per eccesso di rifiuti in discarica e anche perché il decreto fa degli inceneritori “infrastrutture strategiche di interesse nazionale”.

Alle perplessità personali circa queste scelte poco verdi che contrastano con i proclami fatti alla C21 c’è da aggiungerci anche la preoccupazione per gli effetti che queste scelte politiche hanno sulla salute dei cittadini. A giugno, lo studio epidemiologico Arpa sull’ inceneritore di Vercelli ha dimostrato che tra la popolazione esposta, la mortalità aumenta del 20% e la comparsa di tumori maligni del 60 (+400% al colon-retto e +180% al polmone).

Allora perché queste scelte?

Solo per smaltire in velocità ed evitare le sanzioni europee?

C’è poi da fare un ulteriore riflessione per essere economicamente sostenibile, un inceneritore deve avere una durata di almeno vent’ anni. Un presupposto che rischia di ingessare gli scenari incrementali di raccolta differenziata. La maggior parte delle regioni ha fissato l’ obiettivo della differenziata al minimo del 65 per cento, ad eccezione di Emilia Romagna (70 %), Toscana (70%), Umbria (68,6%), Marche (72,3 %) e il Veneto che ha già raggiunto il 76 %: il piano di incenerimento si basa su queste percentuali.

A questo punto sono un po’ confusa. La differenziata, che in questi anni abbiamo affinato e imparato a fare al massimo delle sue potenzialità ed è la vera via verde di rispetto dell’ambiente per lo smaltimento dei rifiuti e per riusarli come materie prime, non è più ritenuta dal Governo Renzi  l’unica via da seguire?

E poi un altro scempio si affianca a quello degli inceneritori con i decreti fatti dal Governo a fine anno 2015: le trivellazioni energetiche in Alto Adriatico. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha autorizzato i test di ricerca al largo delle Tremiti consentendo alla Petrolcetic Italia di sondare i fondali marini al prezzo di 5,16 euro l’anno al chilometro quadrato per un totale di 1.928 euro versati allo Stato.

 Le altre concessioni  in gioco sono state sospese per un anno: si tratta 20  piattaforme che ricadono nel limite “sensibile” delle 12 miglia: 7 nel Canale di Sicilia, 6 nel Golfo di Taranto, 2 nel Mar Jonio calabro e 4 nel Mare Adriatico tra Veneto, Abruzzo ed Emilia.  Queste scelte politiche hanno creato molto sconcerto e malcontento tanto che il consiglio regionale veneto  all’unanimità, ha sottoscritto (insieme ad altre 9 regioni) il referendum abrogativo delle norme del decreto “Sblocca Italia” che permette lo sfruttamento dei giacimenti gassosi e petroliferi sottomarini.  Si potranno compiere trivellazioni e aprire pozzi entro le 12 miglia dalla costa come in terraferma  a esclusivo vantaggio delle lobby del petrolio e dei loro affari. Dalla laguna veneziana al Delta del Po, i rischi di subsidenza per il nostro territorio sono gravissimi, senza contare l’incognita delle zone sismiche.

Perché non incentivare e semplificare la burocrazia delle energie rinnovabili e schiodarsi dalla dipendenza dall’energia fossile?

Non mi escono parole per concludere questo pezzo se non un sentimento di preoccupazione e di smarrimento. Spero che  la coscienza popolare riesca a osteggiare scelte folli e scellerate che alla fine ricadono sulla vita di tutti noi.

Mah!



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